Medicine dal mondo

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In questa rubrica andremo a conoscere alcune pratiche mediche provenienti dalle tradizioni di varie culture. Cominciamo sottolineando che non stiamo suggerendo l’adozione di queste pratiche mediche. Qualunque tradizione medica, affrontata senza la necessaria preparazione, può essere pericolosa. Ed è per questo che in ogni cultura ci sono pratictioners (medici, guaritori, sciamani, etc.) che si occupano di curare, e pazienti che si rivolgono a loro per le cure. Quello che vogliamo fare in questa rubrica è semplicemente presentare alcune pratiche, a volta anche molto antiche, per farvi conoscere la realtà al di fuori del nostro paese, o della medicina occidentale. Possibilmente, suscitando il vostro interesse e facendovi divertire nella lettura.

Cominciamo questo viaggio partendo da un medico italiano, Aldo Lo Curto, Siciliano, classe 1949, laureato con lode presso la facoltà di Medicina dell’Università di Pavia nel 1973, e fin dal 1978 in missione tra le popolazioni indigene di oltre 40 paesi, per portare cure mediche e cultura della prevenzione. Nel libro scritto con 1990 con Caterina Piermarocchi intitolato Gli animali che curano, Lo Curto spiega la nascita del suo interesse per la zooterapia, avvenuta quando un missionario gli raccontò di un documento ritrovato nel Senegal che descriveva il vissuto di uno studente della Facoltà di Medicina di Dakar divorato dalla Lebbra da oltre 10 anni. Questo ragazzo, disperato per aver provato tutte le cure della medicina ufficiale (quella moderna e occidentale), ma intenzionato assieme al padre a non rassegnarsi al progredire della malattia, decise si ricorrere alla medicina indigena. Il padre lo condusse da un guaritore locale che, confermata la diagnosi di lebbra, prescrisse un farmaco composto principalmente da un quarto di avvoltoio. In pochi mesi il giovane guarì, un risultato dovuto probabilmente all’enorme riserva anticorpale del volatile considerato come uno “spazzino del villaggio”, capace di digerire qualunque tipo di rifiuto senza ammalarsi.

Lo Curto ammette di aver sorriso al missionario per cortesia, ma aver preso il racconto per un racconto. Questo aneddoto gli tornò in testa tornato in Italia, quando si trovò a dover prescrivere un antiemorragico il cui componente principale era il veleno di Bothrops, un serpente della famiglia dei viperidi crotalidi di cui fanno parte anche i famigerati ferri di lancia. Questo episodio portò Lo Curto a prestare attenzione all’uso degli animali nella medicina. E capì ancor più l’importanza di questo, quando si trovò tra le mani il compendio Sushruta (Sushruta Samhita), un vero e proprio manuale di medicina indiana che presentava ben 183 animali.

Perché abbiamo cominciato da qui questo viaggio? Semplicemente perché è il punto di incontro tra varie tradizioni mediche. Un medico italiano, che tramite il racconto sulla medicina Senegalese e la somministrazione di un farmaco creato con il veleno di un serpente, comincia ad interessarsi alla zooterapia fino ad incontrare un manuale che, scritto nell’India antica, rappresenta ancora oggi un importante compendio medico storico. Le tradizioni mediche evolvono nel tempo e si mischiano. In questo, alcune finiscono per prevalere su altre, prendendosi il ruolo di medicina ufficiale. Non bisogna però dar per scontato che rimedi antichi siano oggi giorno inefficaci od obsoleti.

Abbiamo pensato che fosse giusto che il primo appuntamento di questo filone di articoli sulle medicine dal mondo, dovesse includere un pensiero da parte del Dott. Simone Cipriano, fondatore di MSL, studioso e grande conoscitore della tradizione medica indiana.

Simone spiega che uno dei principi su cui si basa la medicina Ayurvedica è la vicinanza alla natura. Non solo una vicinanza per quello che riguarda le medicine, ma anche – e soprattutto – l’approccio del terapista, che deve essere in sintonia con la natura. Questa sintonia si riflette principalmente nell’attitudine del terapista verso il paziente, il quale non dev’essere trattato come un numero o un titolo, ma deve poter ricevere una terapia efficace in modo umano. O forse se seguiamo il seguente aneddoto, sarebbe dire in modo “animalesco”.

Simone racconta che uno dei suoi professori universitari in India, ebbe un’epifania sul trattamento Nala Abhyanga mentre guardava in televisione un documentario naturalistico. Questo documentario mostrava un cucciolo di leone gravemente ferito, e quello che impressionò il professore fu il tipo di cura che la mamma del leoncino applicava. Infatti, leccava il cucciolo partendo dalle estremità per andare verso il centro, verso il torace, esattamente come durante l’applicazione del Nala Abhyanga, che prevede appunto l’applicazione della manualità corporea al paziente, partendo dall’esterno e andando verso l’interno, in modo da riportare fluidi e linfa verso il torace del paziente. Il leccare vigoroso della mamma del leoncino non era quindi fine a sé stessa, ma funzionale. È l’istinto naturale e l’amore della mamma leonessa di curare il suo cucciolo.

Ed è per questo che gli animali che curano hanno un senso più esteso nel mondo Ayurvedico. Non solo usare l’animale come medicina, ma anche usare l’animale come un insegnante, un terapista da cui imparare.

Questa introduzione ci offre l’occasione di chiedere i vostri pareri, oltre che a offrire ai lettori l’occasione di porci domande o dubbi ai quali proveremo a rispondere nelle prossime uscite. In MSL Academy pensiamo che la conoscenza debba essere condivisa e rafforzata tramite il dialogo.

Prima di salutarci, volevamo dirvi di stare tranquilli. Le cure di mamma leone sono state efficaci e il piccolo leoncino si è completamente ripreso!

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Lo Curto, A. & Piermarocchi, C. (1990), Gli animali che curano, Editore: Grafiche Lambro

Nota: a conoscenza degli autori il libro è fuori pubblicazione e (purtroppo) molto difficile da trovare. I proventi di questo libro sono stati donati dagli autori in beneficienza, allo scopo di aiutare le popolazioni indigene. Una prova di quello che l’umanità in medicina significhi.

Singh V. (2017). Sushruta: The father of surgery. National journal of maxillofacial surgery8(1), 1–3. (pub.med)

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